Trapani è una striscia di terra situata tra due mari. A nord il mar Tirreno a sud il Mediterraneo. L’aria e l’atmosfera del mare si respira ovunque. Trapani è la mia città e quando posso vado a caccia di atmosfere da fotografare.

 

Trapani
di Giacomo Pilati

La prima volta, la città si scopre scorrendo le guide che raccontano le coste incontaminate e il mare turchese delle isole Egadi e di Pantelleria. Trapani, il porto, gli orari d’imbarco. Poco più di una citazione, un puntino sull’itinerario da percorrere fra le bellezze della Sicilia. Niente di più.
Poi ancora, un gelato preso al volo prima di salire sul traghetto, o se c’è ancora tempo, due passi attorno alla stazione portuale. Sarà l’oblò della nave a consegnare da lontano l’immagine della città smarrita, sagomata dal mare, con le cupole, i campanili e le case dei pescatori. Un lampo che ha il sapore del rimorso. Le palme che ondeggiano cullate dal vento di fronte alle piattaforme di imbarco, e più giù la folta capigliatura degli alberi che segnano l’istmo più avanzato d’Italia nel Mediterraneo. E dietro questo avamposto, un segreto. Una città antica da scoprire lentamente, un cuore barocco da mordere piano, un giro per venule spagnole e corsi bordeggiati da palazzi sontuosi e chiese di straordinaria bellezza. Un paradiso di pietra che è proprio lì a due passi dal mare, appena girato l’angolo. Trapani nascosta dalla cortina delle case povere dei marinai che da secoli sono la sua anima vera, è una meraviglia scandita da sequenze infinite di dimore appartenute a principi e baroni, conventi e basiliche vanto di ordini ecclesiastici che qui furono potenti. Artifici di tufo e marmo, vittime decadenti (chiese sbarrate, palazzi fatiscenti) di una geografia dell’abbandono che oggi per fortuna comincia a segnare qualche momento di rinascita.

Il corso Vittorio Emanuele  e via Garibaldi, costituiscono l’asse fondamentale del centro storico; due strade con destini simili, ma con fondazioni diverse: la prima, la rua Grande, tracciata già da Giacomo II d’Aragona alla fine nel 1300 e destinata ai palazzi del potere civile e religioso; la rua Nuova, seicentesca e patrizia, con le case dei nobili e dei dignitari della vecchia Civitas. La via Torrearsa unisce e fonde le due arterie, coniugando in un’unica storia i due mari che si fronteggiano alle loro spalle. Da qui la scena barocca è ritmata da sbalzi architettonici che tagliano una fuga di case ottocentesche che dal Mediterraneo precipitano sulle sponde del Tirreno, in un rettilineo di pietra nervosamente interrotto da fantasiose balconate in ferro battuto. Sant’Agostino è la prima magia, uno slargo su cui domina la facciata quattrocentesca della chiesa, impreziosita da un rosone ad archi intrecciati convergenti nell’Agnus Dei. Corso Vittorio Emanuele si apre con la scenografica quinta del palazzo Senatorio, costruito da don Giacomo Cavarretta nel XVII secolo, sull’antica sede della Loggia dei Pisani. Colonne, statue , nicchie, archi animano i tre ordini del prospetto, rilanciando su tutta la strada il fiume di luce che arriva dal mare. La chiesa del Collegio e l’annesso convento, ora liceo classico, sono il fronte principale del Corso. I gesuiti costruirono il loro tempio agli inizi del XVII secolo, privilegiando un gusto barocco che qui trova la sua espressione migliore. Capitelli, mascheroni, putti, festoni e lesene ricamano la facciata della chiesa.

Il palazzo Riccio di San Gioacchino è un altro esempio di barocco da salvare, questa volta dai fili elettrici e telefonici che penzolano sulle straordinarie mensole che reggono gli sfarzosi balconi . La Cattedrale, in fondo al Corso, va vista incollando le spalle al muro. Il prospetto di Giovanni Biagio Amico del 1748 regala all’intera macchina di pietra una eleganza raffinata con il portico a tre arcate a tutto sesto che si apre in alto a due campanili, e una cupola contornata da quattro cupolette. Una qualsiasi stradina che scende verso il porto è pronta a svelare altri segreti, a condizione che si cammini con il naso all’insù. Il vecchio carcere del XVII secolo, appena restaurato, con quattro magnifici telamoni che sostengono il timpano (sarà la prossima sede del museo dei gruppi in tela e colla della processione dei misteri del Venerdì Santo); la chiesa del Purgatorio ancora dell’architetto sacerdote Giovanni Biagio Amico, con le statue degli apostoli che ricamano in alto i contorni. Un incanto interrotto da abominevoli pareti di calce bianca che celano due porte laterali e una finestra. All’interno sono custoditi i venti gruppi dei Misteri. Un pezzo di Spagna è il vecchio ospedale di piazza Locatelli, a due passi dal mare, un edificio seicentesco di impronta barocca incastonato in uno slargo rubato ad altre latitudini. Ma basta girarci attorno per comprendere il grave stato di abbandono in cui si trova, muri pericolanti, porte chiodate da sbarre di legno. Si torna indietro per via Libertà, la strada che fiancheggia le mura di tramontana.

I bei portali a sega e a ventaglio, mostrano la smania della classe media del seicento di aderire in fretta alle nuove tendenze architettoniche, puntando soprattutto ai prospetti delle case. Come quello di Palazzo Melilli con spugne di pietra che lo incorniciano come perle montate su un diadema.. All’improvviso si aprono altre quinte, che sono minuscoli principati, con la corte interna ed esterna, fuori dal portone, direttamente sulla pubblica via. Ecco palazzo Mokarta costruito da don Martino Fardella assecondando una impostazione classicista con alcuni elementi della tradizione manieristica barocca. Sono ancora i portali a dominare l’architettura di via Garibaldi, la rua Nuova. Incastrati a denti nel prospetto rinascimentale del palazzo dei Baroni Burgio di Scirinda, o a ventaglio negli anonimi palazzi settecenteschi che si inframmezzano fra le chiese di S. Alberto, Carminello, Santa Rita. Lasciando via Garibaldi per una delle sue laterali si giunge prima a San Nicola dove si può assistere a cantiere aperto al restauro della protobasilica settecentesca, organo e opere d’arte inclusi; poi, lungo una scalinata, a San Domenico. Fatevi mostrare dal parroco la magnifica scala elicoidale che giunge in cima alla quattrocentesca torre campanaria, e gli affreschi quattrocenteschi e cinquecenteschi della Cappella dei Crociati, appena restaurati e nascosti dietro il coro ligneo.

Girate a caso fra le vene di questo pezzo di centro storico, vi ritroverete ad ammirare edifici di incredibile bellezza, trascurati dalla segnaletica turistica. Come la facciata trecentesca di palazzo Burgio ricamata da tre bifore, una trifora e purtroppo anche da profonde lesioni. Ben recuperata è invece la parte terminale di via Garibaldi con palazzo Milo del XVIII secolo, con un portone prezioso di legno scolpito e le cornici barocche dei balconi (sede della Sovritnendenza ai BB.CC), e palazzo Fardella con una perfetta sintonia fra portale, mensole e timpano . Più giù, palazzo Riccio di Morana (sede della presidenza della Provincia), da poco restaurato, con i saloni affrescati e i pavimenti originali in maiolica (aperto alle visite). Si gira l’angolo; ora il mare è il solo padrone della scena . Fra rocce, scogliera, sabbia e splendidi tramonti. Liberato dalla bellezza delle pietre antiche.